Tutto quello che sappiamo attualmente delle caratteristiche del giardino indiano in epoca antica può essere ricavato solo indirettamente, dallo studio di fonti storiche e letterarie, non essendo giunto niente di tangibile ai nostri giorni. Se ne deduce che il clima torrido del paese ne influenzò fortemente i tratti fondamentali quali la presenza centrale dell’acqua corrente e la presenza di alberi da frutto. Il giardino nell’India antica era infatti concepito come un luogo di ritiro e di pace dove rilassarsi e trovare riparo dal caldo.
Nel XVI secolo i Moghul conquistarono il paese ed introdussero prepotentemente i canoni basilari del giardino persiano e dell’architettura islamica medievale contaminandole con le influenze nomadi turco-mongole dell’Asia Centrale. Il fondatore dell’impero Moghul Ẓahīr al-Dīn Muḥammad detto Bagur, discendente diretto di Tamerlano, non fece mistero della sua preferenza per la tipologia di giardino chahar bagh (“Chār“= 4 e “bāgh” = “giardino” in persiano). Si tratta di un tipo di giardino in stile persiano recintato (il concetto medievale di Hortus Conclusus) caratterizzato dalla presenza ricorrente del numero 4 attraverso suddivisioni degli spazi ottenute tramite quadrati vegetali e canali disposti perpendicolarmente tra loro, in cui l’acqua fluisce continuamente in velocità. In India tuttavia non c’era grande disponibilità di corsi d’acqua con caratteristiche idonee. Per questo motivo, pur fiorendo numerosi chahar bagh nei territori dell’impero che attualmente si trovano in Bangladesh, India e Pakistan, i progettisti (spesso e volentieri donne della dinastia come Nur Janan, moglie dell’imperatore Jahangir) si concentrarono particolarmente nella progettazione di elaborate variazioni geometriche e rigorose simmetrie.
L’insieme esprimeva riferimenti simbolici legati al corano (i quattro fiumi del paradiso) e numerologici (particolarmente fortunati erano considerati i numeri 8 e 9) legati allo zodiaco e alla propria tradizione familiare. Mura perimetrali di suddivisione, padiglioni, torri, terrazze e piscine, realizzati in marmo o arenaria rossa, avevano di frequente forma ottagonale. Elementi distintivi degli influssi nomadi sono invece baldacchini, tende e tappeti la cui dimensione e numero era un vero e proprio status symbol. Elementi acquatici tipici erano anche le fontane, scelte per la musicalità rilassante e per la capacità di raffrescare l’aria circostante. Il paradigma del chahar bagh indiano è il Ram Bagh di Agra, quasi sicuramente il primo esempio in assoluto.
I giardini moghul indiani inoltre si sviluppavano lungo fiumi o laghi e, a differenza dei chahar bagh persiani più intimi, prediligevano ampi spazi aperti. Venivano infatti utilizzati come cornice di sontuosi ricevimenti e cerimonie di corte oppure, con l’inserimento in questo caso del cipresso, simbolo di morte, come giardini dei mausolei imperiali. Ne sono un esempio la tomba di Humayun a Delhi o il Taj Mahal.
Il nipote di Bagur, Jahan-ghir, appassionato di botanica e di escursioni volte alla ricerca di varietà sempre più particolari diede un forte impulso allo sviluppo e all’utilizzo dei fiori nei giardini Moghul. Negli stagni e i nei canali ricorreva spesso l’uso del loto, tipico dell’India e fortemente connesso al simbolismo Buddista.
L’apice nell’utilizzo di fiori e motivi floreali si raggiunse però nel regno del figlio Jahan-ghir. Fui questi che costruì il Forte Rosso di Delhi, il Mehtab Bagh (Giardino del chiaro di luna) caratterizzato da gelsomini e altre fioriture serali dai colori tenui e delicati, e in onore della moglie prediletta, il celeberrimo Taj Mahal i cui marmi bianchi, ricchi di intarsi in pietre semipreziose modellate sul tema centrale del tulipano, riflettono la luce lunare.
Infine in seguito all’occupazione inglese a metà del XIX secolo, i giardini indiani acquisirono un nuovo elemento nel proprio stile, spesso di costosissima manutenzione in relazione al clima, grandi estensioni di prato verdissimo.
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