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Il giardino giapponese tradizionale, come quello di molte altre culture nel mondo, riflette i canoni estetici, filosofici e religiosi propri della cultura locale, declinati in molteplici varianti che privilegiano di volta in volta specifiche caratteristiche.
Caratteristiche del giardino giapponese
Indipendentemente dallo stile particolare il paradigma del giardino giapponese è il raggiungimento dell’armonia dei singoli elementi. Le forme sono in generale semplici, pulite mai eccessivamente decorative, ma la cura per il dettaglio è certosina e la collocazione di ogni elemento profondamente ragionata.
I quattro elementi fondamentali di un giardino giapponese sono stati fissati in un trattato anonimo del periodo Heian il Sakuteiki e sono:
- ishi, “rocce”
- mizu, “acqua”
- shokusai, “manutenzione delle piante”
- keibutsu, “elementi del paesaggio”
Il trattato dettaglia tutta una serie di regole spesso abbastanza sibilline e divieti per la combinazione dei singoli elementi, tra loro e nel contesto generale. L’impronta è a tratti marcatamente esoterica soprattutto nel rapporto tra uomo e spazio. Questo viene infatti sempre progettato per estendere la visione dell’osservatore, in senso fisico e mentale, in un senso di immensità, anche negli spazi più contenuti. Il rapporto e l’equilibrio tra gli elementi naturali (sempre presenti in numero dispari) spesso ottenuto per contrasto, la mancanza di simmetria e la fluidità delle forme sono metafora dell’equilibrio naturale.
Massi e rocce sono tondeggianti e spesso levigati, simbolo di pace interiore e continuità nel tempo, e sono disposti in maniera da dare l’illusione di essere naturali e non artificiali. L’acqua, simbolo di vita, raramente è corrente. Predominano stagni e laghetti, ma quando scorre lo fa sempre da oriente verso occidente, riflesso terreno del percorso aereo del sole. Il manto erboso è spesso sostituito da muschio e pietre, il verde degli alberi deve essere equilibrato per moderare le tonalità con il susseguirsi delle stagioni, le fioriture sono esclusivamente primaverili costituite principalmente da camelie, rododendri, cornus kausa e azalee.
Vediamo adesso come tutte queste caratteristiche si sono stratificate progressivamente nel corso della storia.
Evoluzione storica
I primissimi esempi di giardino giapponese erano caratterizzati da perimetri in pietre o sassi che individuavano particolari aree naturali considerate sacre. L’influsso della cultura del giardino cinese è stato profondo nei secoli iniziali di sviluppo in particolare tra il VI e l’VIII secolo e legato alle osservazioni dei viaggiatori giapponesi di ritorno dalla Cina e all’introduzione del Buddhismo. In questo periodo i giardini venivano realizzati nei palazzi imperiali a scopo di svago e l’elemento fondamentale era costituito dall’acqua. Nessun giardino di questo tipo si è conservato fino ai nostri giorni. Successivamente l’influenza cinese si è andata diluendo ed ha permesso agli elementi tradizionali autentici di divenire progressivamente sempre più dominanti.
Storicamente il vero punto di svolta verso l’originalità è avvenuto durante il periodo Heian (tra VIII e XII secolo). Inizia infatti a diffondersi in questo periodo il Buddhismo della Terra Pura e di conseguenza i giardini sono volti a simboleggiare in terra il paradiso promesso dalla dottrina, appunto la Terra Pura. Questa tipologia di giardino è detta Shinden-zukuri o anche Jōdo. Presenta un elemento architettonico centrale che simboleggia Buddha, aspetto sottolineato da sculture che lo raffigurano, circondato da uno specchio d’acqua (il limbo o paradiso). Spesso sono presenti anche ponti ad arco di collegamento tra le isole e le sponde o altri edifici che si allungano sull’acqua. Risale al tardo periodo Heian anche il Sakuteiki, il primo trattato conosciuto che codifica in maniera rigorosa il giardino giapponese (XI secolo) elaborando in forma originale idee prese dalla geomanzia cinese e dal Feng-Shui.
Nel periodo Kamakura (1185-1333) la capitale si sposta temporaneamente da Kyoto a Kamakura e l’imperatore è una figura che governa solo di facciata. Il vero potere è nelle mani degli Shogun, l’élite militare, tra cui si diffonde il Buddhismo Zen. I giardini si affiancano ai templi e si configurano anche come luoghi di meditazione caratterizzati da una corrente di rigore formale, e semplicità portata al minimalismo. Questa combinazione di fattori porta alla nascita di un altro stile, più di allestimento che di giardino, detto Karesansui, letteralmente “natura secca”. Il termine sansui compare nel Sakuteiki ed esprime una natura intesa come “montagne e acqua”. Caratteristica peculiare è la forte astrazione e la completa assenza dell’acqua, rappresentata con aree di sassi, ghiaia o sabbia, “pennellate” con un rastrello a simulare onde o gorghi. I karesansui sono spesso di dimensioni contenute e fatti per essere osservati da posizioni precise che invitano alla meditazione. Nelle epoche successive erano spesso inseriti anche come aree di progetti di giardino tradizionale più estesi. Il periodo di massimo splendore del karesansui fu quello successivo il Muromachi (1333-1568) ad opera dei senzui kawaramono (gente di montagna, di torrente e fiume) artigiani specializzati che realizzarono capolavori quali i giardini di pietra dei templi di Ryoanji e Daitokuji a Kyoto.




Successivamente il breve periodo Momoyama (seconda metà del XVI secolo) vede la nascita di ben due tipologie di giardino tradizionale. La lotta tra le famiglie feudali giunge al culmine ed il paesaggio giapponese è costellato di castelli fortificati in posizione strategicamente soprelevata. Nella campagna circostante sorgono città e giardini progettati specificatamente per essere goduti dall’alto. Gli elementi d’acqua, spesso artificiali con funzione anche difensiva, sono circondati da spiagge di pietre e decorati con grossi massi tagliati con maestria e disposti in armonia col paesaggio. Formano infatti vere e proprie isole con funzione allegorica o rappresentativa di altre regioni. Ponti in pietra e sentieri sassosi introducono elementi tipici del giardino per passeggiate. In questo periodo nasce anche il Roji o giardino del tè. La bevanda veniva largamente usata dai monaci buddhisti come sostegno alla meditazione. Sen no Rikyū, oggi riconosciuto come il primo maestro del tè codificò nei minimi dettagli un vero e proprio rito, il Cha No Yu o cerimonia del tè. I dettami si estendevano anche alla struttura e alle regole della casa del tè (Sukiya) e del giardino annesso. Il paradigma da seguire era la “rustica semplicità” (wabi) dell’eremita. Un sentiero in pietra costeggiato da sedute conduceva ad un lavabo appena fuori la struttura, semplicissima in legno, grande appena per contenere due tatami. Il giardino era altrettanto semplice senza fiori con alberi indicatori della primavera quali il ciliegio. Famoso è il giardino a Daigo-ji, nella prefettura di Kyoto risalente al 1598.



Nel periodo Edo (1600-1868), caratterizzato dalla completa chiusura del Giappone al mondo esterno, il concetto della casa del te si evolve in uno stile architettonico nuovo il sukiya-zukuri. Nasce concettualmente con la costruzione della Villa imperiale di Katsura e dei giardini annessi. Caratteristiche peculiari sono l’apparente semplicità, espressa però con materiali di altissimo pregio e raffinate tecniche costruttive, l’assenza di alte strutture o alberi imponenti che ostacolino la visuale, il punto di osservazione sempre di spigolo (ganko), il senso di continuità tra interno ed esterno. In questo periodo il giardino è ampio, fatto per intrattenere, stupire come nei giardini kaiyu (“molto piacere”) e passeggiare da cui il nome di giardini kaiyūshiki (“passeggiata”). Il paesaggio viene valorizzato creando infiniti punti di vista con sentieri curvilinei che collegano caratteristiche naturali interne al giardino o scorci esterni sapientemente sfruttati tramite aperture nello stile shakkei (“paesaggio in prestito”). Frequente anche la ricostruzione in miniatura di paesaggi famosi o mitologici. Bellissimi esempi di giardino del periodo Edo, oltre alla Villa imperiale di Katsura sono il Giardino del Palazzo Imperiale a Kyoto chiamato Oikeniwa o “Giardino del Laghetto” (XVII secolo), il giardino Korakuen (1626) a Tokyo, il giardino Kenrokuen (1676) a Kanazawa celebre per i numerosi paesaggi in miniatura.





Nel periodo Meiji (1868-1912), il Giappone si riapre al mondo esterno e alla modernità per cui i grandi giardini vengono per la maggior parte convertiti a parchi pubblici. In alcuni giardini di questo periodo, soprattutto nel meridione della nazione, si fanno sentire le influenze dello stile occidentale, al nord tendono ancora a prevalere le tradizioni giapponesi, mentre lentamente si afferma lo stile detto naturalistico. Tra la popolazione privata inizia a svilupparsi lo stile Tsuboniwa, dal termine Tsubo “superficie equivalente a due tatami”, piccoli giardini di circa 3 metri quadrati che creano oasi di natura nei cortili interni o tra le case nei limitati spazi urbani. Tra i grandi giardini indicativi del periodo Meiji ci sono il giardino Chinzan-so a Tokyo (1877) e quello Murin-an a Kyoto, (1898).